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Trame di fili, reti di persone

  • IEDentity
  • "In-disciplina"
  • Numero 02 - 11 Aprile 2018
Marcello Maria Perongini
  • Marcello Maria Perongini

Una studentessa del master in Design degli Spazi - Metodologia MA.DE.IN di IED Rio, ha creato una tecnica di produzione di oggetti usando le corde come materiale di base.

A differenza della grande maggioranza dei materiali, la cui struttura segue le trasformazioni del loro tempo, le corde sono rimaste uguali sin dal Medioevo. Analizzandone gli usi e i contesti, si scopre che la corda è un materiale al quale sono associate sensazioni come trasparenza, affetto, vincoli, comunità e protezione.

1 Dalla flessibilità alla rigidità attraverso il calore

La trama delle corde ha affascinato Patricia Lantelme, studentessa del master in Design degli Spazi - Metodologia MA.DE.IN di IED Rio. Studiando le proprietà delle corde in polipropilene, una plastica derivante dal riciclo delle bottiglie in PET, la designer ha messo a punto una tecnica per renderle più rigide e poter così produrre oggetti come mobili, lampade e vari tipi di sculture. Ora l’obiettivo di Patricia è tessere altre trame, questa volta tra persone. Seguendo l’approccio del fair trade (commercio equo e solidale), vuole insegnare la tecnica ad artigiane, coniugando, grazie al design, sostenibilità e trasformazione sociale. Il progetto, realizzato in collaborazione con la Rede Asta, ha lo scopo di creare una rete che favorisca l’emancipazione di artigiane locali di Rio de Janeiro.

Patricia Lantelme, del Master in Design degli Spazi - Metodologia MA.DE.IN, IED Rio

Gli allievi del master in Design degli Spazi affrontano la sfida di concepire lo spazio partendo dalla ricerca empirica su un solo materiale. La scelta della corda rappresentava una sfida nella sfida: come lavorare con un materiale così flessibile e ottenere la  rigidità e la stabilità necessarie alla costruzione di volumi? Servendosi degli strumenti propri della metodologia MA.DE.IN, Patricia ha scoperto che ad alte temperature, tra 160 e 170 ºC, il polipropilene può essere modellato e diventa un materiale autoportante. Coniugando questa tecnologia alla lavorazione manuale dei merletti macramè è riuscita a creare una nuova tecnica di costruzione.

“Lo studio approfondito del materiale, messo in atto con la metodologia MA.DE.IN, ha trasformato la mia visione del concetto di materialità e mi ha aperto la prospettiva di nuove possibilità del processo creativo. Voglio applicare questo sguardo non solo alla mia professione, ma anche a esperienze personali, varcando i confini della comfort zone e seguendo strade più innovatrici”, spiega.

Creata durante il corso, la linea di lampade attinge a piene mani dall’architettura biomorfa (come i progetti di Frei Otto) e si ispira alle forme astratte delle sculture di Ruth Asawa. La trama dei fili ricorda le reti dei pescatori, e ne trasmette la leggerezza. L’ambivalenza degli oggetti si esprime grazie a un gioco di luci e ombre e all’inedita relazione tra rigidezza e flessibilità.

 

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Tessere relazioni

 

Per la sua tesi, Patricia doveva sviluppare un progetto in scala 1:1 che avesse risvolti sulla sua vita personale e professionale. Partendo da questo spunto, ha creato il progetto “Nós(che in portoghese significa “noi” ma anche “nodi”), una rete di collaborazioni con l’obiettivo di generare opportunità di miglioramento delle condizioni di vita di artigiane.

Il progetto si basa sui principi portati avanti dal commercio equo, come la giusta remunerazione, senza distinzioni di genere. Le tesi conclusive del master in Design degli Spazi non restano in un cassetto, ma devono diventare progetti per la vita. È quanto afferma la coordinatrice del corso, Ayara Mendo: “Sin dal suo primo progetto, Patricia è riuscita a centrare proprio quello che cerchiamo di ottenere con la metodologia MA.DE.IN, e cioè un grande entusiasmo per il materiale. La tecnica che ha messo a punto presenta un notevole vantaggio, perché non esige un formato specifico del prodotto finito, ma apre a innumerevoli possibilità creative, che le artigiane potranno mettere in atto”.

Autore: Marcello Maria Perongini