Ana Siemens continua spiegando le caratteristiche della mostra al fine di comprendere il quadro in cui prende forma e la novità del momento attuale. “Nel secolo XIX, il sorgere della produzione industriale di oggetti fabbricati in serie, identici tra loro, fu visto come un enorme progresso, non solo perché offriva al consumatore la possibilità di avere prezzi più accessibili, ma anche perché si trattava di oggetti ‘perfetti’, nei quali venivano eliminati gli errori tipici della produzione artigianale, manuale. (…) Con il passare del tempo, nell’ambito del design sorse l’idea che, forse, quelle imperfezioni così odiate avessero in realtà un lato positivo, dal momento che apportavano all’oggetto un tocco umano, nonché una relativa diversità”.
Questa idea viene riformulata in varie occasioni nell’ambito espositivo, per esempio da Hella Jongerius. “Ero alla ricerca di modifiche, differenze individuali. Ogni ceramista sa che quando la porcellana viene cotta a una temperatura troppo alta si verificano delle deformazioni. E così ho compiuto vari esperimenti sullo spessore degli oggetti e sulla temperatura, fino a ottenere qualcosa in cui ravvisavo una qualità speciale. (…) Le forme erano sempre intatte, ma mostravano piccole differenze quando i pezzi venivano confrontati tra loro.”
Negli anni Settanta, il designer Gaetano Pesce, pioniere del pensiero anti-serializzazione, già parlava del malfatto, la caratteristica degli oggetti sbagliati o imperfetti, come di qualcosa di positivo ed encomiabile. “Il suo obiettivo è sempre stato quello di capire come ottenere questa singolarità desiderata, che trasforma gli oggetti in pezzi unici sin dalla piattaforma di produzione industriale: arrivare a ottenere, grazie a questo tipo di produzione, dei prodotti che riflettessero maggiormente la nostra società, che è indubbiamente, e per fortuna, varia”, spiega Domínguez. Pesce ha realizzato due progetti per l’azienda Cassina: la sedia Dalila – presente in esposizione – e la poltrona Sit Down, che permettevano agli operai della fabbrica di decidere il formato finale, cosicché ogni pezzo era leggermente diverso dagli altri. In esposizione vi sono inoltre altre opere di Pesce, come le scarpe Fontessa, per il marchio Melissa, e i prototipi delle sedie Dear Diversity.