Il designer e docente di IED Milano Lorenzo Ruggieri ci conduce in un viaggio tanto ordinario quanto futuristico nella città digitale. Una quotidianità che è già realtà. Ma il confine tra fisico e digitale, dov’è?
Tra fisico e digitale: il futuro è già qui
Non più soltanto un insieme di stringhe numeriche in codice binario, distanti e impalpabili. Oggi il digitale è reale, fisico, e permea già la nostra quotidianità più di quanto possiamo immaginare. Forse non facciamo troppo caso al fatto che, mediamente, abbiamo in tasca 15 smart object, oggetti connessi, in grado di immagazzinare ed elaborare dati grazie alla loro potenza di calcolo. O al fatto che, se svuotiamo lo zaino, i “computer” – oggetti dotati di un chip con funzioni agevolate dalla connessione alla rete – che portiamo con noi quotidianamente sono addirittura 21.
L’Internet of Things (IoT) è un ecosistema che viaggia con noi nella quotidianità. Se guardiamo bene, il futuro non è poi così lontano. Del resto, basti pensare che già nel 1926 Nikola Tesla aveva ipotizzato un mondo popolato di oggetti che ci avrebbero permesso di comunicare tra di noi, dando vita a una sorta di grande cervello, capace di creare connessioni tra i vari device. E che il primo oggetto connesso risale al 1989, ed era un tostapane in grado di dialogare con l’Internet delle origini.
Da dove nasce il futuro (già presente) della quotidianità digitale? Esso vive dei device prodotti da grandi multinazionali (Apple, Google, Microsoft, Samsung, ma anche Vodafone, che non fornisce hardware, ma connettività, alla base dell’IoT), ciascuna delle quali ha sviluppato la propria piattaforma di Internet of Things, quelle di cui popoliamo le nostre case.
Alla base della digitalizzazione della nostra città vi è invece la distribuzione dell’edge computing: l'elaborazione dei dati viene effettuata, in parte, a bordo dei device di uso quotidiano muniti di sensori, e non solo in server remoti.
2 Dunque, qual è il nostro lifestyle nella città digitale?
Sembra futuristico, ma possiamo delineare il nostro lifestyle nella città digitale da quando ci alziamo a quando andiamo a dormire. Sin dal mattino, possiamo essere già connessi, a partire dal caffè: in cucina posso trovare l’acqua bollente pronta alla temperatura e all’ora desiderate, grazie al bollitore IoT che ho programmato la sera prima tramite una app; mentre faccio colazione posso chiedere informazioni al mio Google Home tramite l’interfaccia vocale e aggiornarmi sulle previsioni del tempo e sulle ultime news.
Se il mattino amo andare a correre, quando uscirò ‒ app alla mano ‒ potrò monitorare il mio ritmo, consultare l’archivio delle mie performance e addirittura seguire un programma di allenamento suggerito dal digital coach incluso nelle mie scarpe (per esempio con l’app Nike+ Running).
A questo punto sarà ora di andare al lavoro: posso usare un servizio di sharing e prendere una Mobike o una Car2go. Una volta in ufficio potrei muovermi in una struttura in cui gli spostamenti dei dipendenti sono monitorati da appositi device connessi, tramite i quali è possibile sapere quali sono le sale più affollate in un dato momento, in modo da aumentare o ridurre l’aerazione, ricaricare wireless le macchine elettriche, riscaldare l’ambiente tramite pannelli solari orientati in base alla posizione dell’edificio. Uffici di questo tipo raccolgono e scambiano dati in continuazione.
Dal lavoro potrei magari decidere di controllare che cosa succede a casa: tramite Nest di Google Home posso monitorare la temperatura, alzare il riscaldamento, accertarmi che tutto sia a posto, comprese le piante. A pranzo, poi, posso usare un bicchiere smart, che monitora quello che sto bevendo e il mio livello di idratazione, ricordandomi addirittura di bere e quanto bere.
Ma la giornata digitale non è finita. Dopo il lavoro potrei decidere di andare a fare shopping. Da Diesel (per esempio in piazza San Babila a Milano), quando si portano i capi di abbigliamento in camerino, grazie al chip RFID si possono vedere proiettate sullo specchio informazioni su di essi. Mentre li provo, un monitor da 85 pollici posto alle mie spalle visualizza possibili varianti degli abiti che ho portato con me. Se invece sto per fare un acquisto importante da IKEA, per esempio una cucina, un videowall mi permetterà di visualizzarla a grandezza reale, in scala 1:1, proprio come quando sarà montata.
Terminato di fare shopping, mi muoverò per andare a cena con un’auto che monta pneumatici Pirelli connessi, in grado di monitorare costantemente il loro stato, il bilanciamento, il livello di usura del battistrada. E al ristorante? Esiste un food sniffer, e il cuoco che sta cucinando la carne che ho ordinato potrà controllare che sia davvero della qualità richiesta, verificarne la provenienza e controllare che sia allevata secondo specifici criteri.
Al mio ritorno a casa, prima di andare a letto e terminare questa lunga giornata digitale mi lavo i denti: usando uno spazzolino Oral-B collegato a un’apposita app potrò controllare se sto spazzolando allo stesso modo tutti i punti delle due arcate. Infine, mi lascerò andare a un sonno ristoratore, monitorato (quanto mi muovo mentre dormo, per quante ore sono stato nelle diverse fasi).
È un futuro già presente, “acquistabile” sul mercato. E questa quotidianità digitale nel prossimo futuro aumenterà in modo esponenziale. Le proiezioni parlano attualmente di 25 miliardi di oggetti connessi in totale (esclusi pc e smartphone), 7900 device connessi contemporaneamente ogni minuto. Gli investimenti in IoT si aggireranno intorno ai 250 miliardi di euro in tutto il mondo.
Guardando a queste dinamiche, sono chiari i tre pilastri su cui già si muove l’IoT, fattori che questa economia dovrà tenere sempre più presenti, in un mondo via via più affollato dal rumore, con una movimentazione di merci sempre più ampia e una concentrazione della vita in città che nel 2050 sarà pari al 70%: anticipare i bisogni (o crearli, elemento fondamentale per il dialogo tra aziende e persone); risolvere i problemi (permetterci di delegare sempre di più alla tecnologia, basti pensare anche solo alle bollette, che nessuno di noi paga più fisicamente, ma con addebito automatico sul conto corrente); aumentare l’efficienza (non c’è bisogno che una persona controlli fisicamente che i distributori automatici siano pieni o che raccolga informazioni, se lo fa un device connesso).
Se ci si ferma un attimo a riflettere su questa quotidianità digitale è chiaro che, oltre a riflessioni di natura tecnologica, essa porta con sé una dimensione umanistica. “La realtà che ci circonda non può più essere basata su tecnologie fredde, o su prodotti da immettere sul mercato; c’è qualcosa di più complicato, che si fonda sul dialogo vero e proprio. La tecnologia digitale estremizza questo concetto di dialogo tra un’azienda, un servizio, un prodotto e il cliente, e lo fa tramite l’attività nel mondo digitale, nella quale ci esprimiamo. Le foto che postiamo su Facebook e su Instagram e lo smart object che acquistiamo raccontano in modo verosimile la nostra vita: il digitale è quindi a tutti gli effetti un mondo reale in cui raccontiamo qualcosa di noi stessi, proprio come quando scegliamo un vestito o un look piuttosto che un’altro”, riflette Lorenzo Ruggieri.
Il futuro digitale è già presente. Ma questa quotidianità, in qualche modo, rischia di ridurre il ruolo dei nostri sensi? Forse più che di riduzione è necessario parlare di “confusione”. “Se nel mondo fisico sperimentiamo un’amplificazione dei nostri sensi, nel digitale è diverso. Anche qui una parte dell’esperienza si basa sui sensi (vista, tatto), ma nel momento in cui il suono di un dispositivo è prodotto in maniera digitale (e non fisica) e raggiunge le nostre orecchie, è difficile capire dove finisce un ambito e comincia l’altro. I mondi si fondono sempre di più, ma non si tratta di un impoverimento. La ricchezza del mondo digitale sta nella profondità di quanto può offrire: basti pensare al camerino dello store Diesel, un posto molto piccolo ma da cui, grazie al digitale, ho accesso all’enorme catalogo di prodotti di un’azienda, un negozio infinito.”
Il futuro è già qui.
Autore: Filippo Nardozza
4 Lorenzo Ruggeri
Sempre più spesso si tende a definire la propria relazione con il mondo attraverso i prodotti e i servizi scelti. Stante lo scenario competitivo globale, che viaggia a una velocità sempre maggiore, i brand hanno dunque necessità di progettare nuovi sistemi che siano fortemente rilevanti per le persone.
Il design deve convergere verso un’idea, la tecnologia, il business, la creatività, e creare prodotti e servizi che spicchino e risultino significativi.
Ho rivestito un ruolo nel settore del design per oltre 18 anni e mi sono occupato di progetti di Interaction Design, Product Design e branding. Ho realizzato progetti di design per piccole compagnie italiane e cinesi e per importanti imprese internazionali. Ho lavorato con 3M, Samsung, IKEA, Diesel, Sly, Midea, T-fal, Indesit, OVS, Nespresso, Allianz.
La mia grande passione per la tecnologia mi ha permesso di intraprendere progetti che mescolassero la multisensorialità del mondo fisico con la moltitudine di contenuti e informazioni provenienti dal mondo digitale. Al contempo, ho sostenuto le aziende nella realizzazione di prodotti e progetti di comunicazione.
Credo fortemente nella condivisione delle mie conoscenze ed esperienze con i colleghi e con le future generazioni che oggi si avvicinano al meraviglioso mondo del design. Sono membro del consiglio consultivo e della facoltà del Master of Service Design (PSSD) presso il Politecnico di Milano, dove mi occupo di Internet of Things. Sono inoltre membro della facoltà e professore al Master in Service Design del Poli.design, oltre che professore di Product Design presso IED Milano.
I miei lavori sono stati scelti per diverse mostre e alcuni sono stati esposti alla Triennale di Milano e al Louvre di Parigi. Ho avuto inoltre l’onore di ricevere alcuni premi internazionali, tra cui 2 Red Dot, 2 Good Design Award, 8 Design Plus, 4 Golden Pin.
La mia idea di design è racchiusa in tutte le storie, tutte le idee e tutti i prodotti che consentono a una persona con un’arancia in mano di farne una spremuta.